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L’ereditabilità nell’ASD

La più grande ricerca condotta finora per stimare l’ereditabilità del rischio di autismo ha coinvolto una popolazione di più di 2 milioni di bambini provenienti da 5 paesi diversi , con il risultato che il maggior rischio sia attribuibile a influenze genetiche ereditate. Lo studio “Association of Genetic and Environmental Factors With Autism in a 5-Country Cohort” (https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2737582), guidato da ricercatori dell’Istituto Karolinska di Stoccolma, è stato pubblicato qualche giorno fa sulla rivista JAMA Psychiatry. Lo scopo è stato quello di stimare gli effetti genetici, materni e ambientali che insieme contribuiscono all’insorgenza dei Disturbi dello Spettro Autistico (ASD).

Le evidenze a sostegno delle origini genetiche prenatali di questi disturbi avvalorano l’importanza delle variazioni genetiche ereditate (e quindi responsabili dell’ereditabilità dell’autismo), e delle influenze genetiche non ereditate. Un’importante risorsa di queste ultime risiede nel cosiddetto effetto materno, termine usato per descrivere l’associazione tra le influenze genetiche non ereditate che derivano dalla madre e l’autismo del bambino (in aggiunta a ciò che è stato ereditato geneticamente). Le evidenze a sostegno delle origini non genetiche invece riportano il contributo dei fattori ambientali non condivisi (che rendono unico uno stesso individuo di una famiglia, es: il parto cesareo) e delle esposizioni ambientali condivise (che rendono invece simili i membri di una stessa famiglia).

Lo studio, frutto di una collaborazione internazionale, nasce dalla necessità di determinare l’influenza dei fattori genetici e non genetici che contribuiscono allo sviluppo di questi disturbi, dal momento che non se ne conoscono ancora le origini.

Rispetto ai precedenti studi, questo lavoro analizza un numero considerevole di bambini provenienti da diverse aree geografiche, stima l’ereditabilità di più generazioni di famiglie e riflette il tipo di cultura diagnostica di più paesi indipendenti. Infatti la raccolta di dati si è basata su ampie banche dati per un totale di 2.001.631 bambini, di cui il 51,3% rappresentato da maschi. In particolare, i ricercatori hanno setacciato i registri sanitari nazionali per raccogliere i dati sui bambini nati in Danimarca, Finlandia, Svezia e Australia occidentale dal 1998 al 2007 e le cartelle cliniche nazionali di circa 130.000 bambini nati in Israele dal 2000 al 2011. Dell’intero campione, 22.156 soggetti (1.11%) sono stati diagnosticati con ASD. Moltissimi studi precedenti hanno stimato l’ereditabilità dell’autismo analizzando i gemelli, limitando la ricerca a fattori di rischio che potrebbero essere specifici per i fratelli gemelli. Il lavoro di Bai e colleghi beneficia invece del fatto che include fratelli non gemelli. Gli stessi database sono stati utilizzati inoltre per rintracciare il numero di diagnosi di autismo tra i fratelli dei bambini autistici, tra i fratellastri e i cugini e per identificare i genitori e i nonni con lo scopo di costruire alberi genealogici.

Secondo i risultati ottenuti, la stima di ereditabilità è intorno all’81% (nello specifico 80.8%), indicando che il rischio di autismo nella popolazione è dovuto principalmente a influenze genetiche ereditate, senza alcun contributo considerevole degli effetti materni. La stima ottenuta da questo modello statistico riporta un piccolo intervallo di variabilità (73.2% – 85.5%), il che significa che il dato è più affidabile rispetto alle stime di studi precedenti. Visti questi dati, le cause ambientali o esterne possono rappresentare un fattore la cui stima è circa del 20%. Questi risultati sono coerenti con quelli di altri due grandi studi svedesi condotti su coppie di fratelli gemelli e non gemelli: in quello del 2017 i fattori genetici ereditari contribuiscono a circa l’83% del rischio di autismo e in quello del 2010 a circa l’80%.

Tuttavia le stime dell’ereditabilità possono variare da paese a paese. Per esempio, la stima per la Finlandia fissa il rischio di autismo al 51%, la cui variabilità è molto ampia (25.1% – 75.6%), con fattori ambientali condivisi e non condivisi che contribuiscono rispettivamente al 14% e al 34%. Dal momento che la Danimarca, la Finlandia e la Svezia hanno in comune lo stesso sistema sanitario nazionale per la sorveglianza della salute, e in considerazione della simile dimensione del campione di questi tre paesi, è stato messo a punto un modello di analisi combinata per i dati dei paesi nordici. In tal caso la stima di ereditabilità è tra 81.2% e 82.7% (a seconda del modello statistico considerato, con inclusione oppure no dei fattori materni e fattori ambientali condivisi). Successivamente sono stati inclusi nell’analisi altri due piccoli campioni, quello dell’Australia occidentale e quello dell’Israele, la cui stime di ereditabilità sono rispettivamente del 54% e quelle del 86.8%. Gli stessi autori dello studio ribadiscono che queste discrepanze tra i diversi paesi possono riflettere le differenze tra gli standard diagnostici per l’autismo adottati. Una domanda interessante che si stanno ponendo già molti ricercatori in questo ambito è infatti se c’è qualcosa di veramente diverso nel modo in cui l’autismo viene diagnosticato in paesi diversi, ma non si è giunti ancora a nessuna valida conclusione.

Quando i ricercatori hanno stimato il contributo dell’effetto materno, la sua associazione con la variazione del rischio di autismo è stata molto piccola o addirittura inesistente. Singoli fattori di rischio materni, come ad esempio l’obesità, non sono direttamente inclusi in questo modello di analisi statistica, per cui i meccanismi attraverso cui essi operano potranno essere compresi usando altri approcci di studio.

I ricercatori hanno infine esaminato i fattori ambientali legati all’autismo. Ad esempio, si stima che il 18,1% del rischio di autismo deriva da fattori ambientali che non sono condivisi tra i membri della famiglia. Questi fattori includono mutazioni genetiche non ereditate o mutazioni meglio definite de novo. Quando il team ha esaminato i fattori ambientali che sono condivisi tra i membri della famiglia, come potrebbe essere l’ambiente domestico, ha trovato che essi non contribuiscono sostanzialmente al rischio di autismo.

Dunque, nella maggior parte delle analisi condotte, gli effetti genetici ereditati hanno l’influenza maggiore sull’insorgenza degli ASD, con un contributo minore dei fattori ambientali non condivisi e con pochissime evidenze degli effetti materni o dell’ambiente condiviso.

Il maggior punto di forza dello studio è l’uso di una popolazione campione molto ampia, la più grande finora descritta, inclusiva di dati appartenenti a tre diverse generazioni. La consultazione dei registri di popolazione ha permesso inoltre di seguire i partecipanti sin dalla nascita ed evitare il bias della raccolta dei dati retrospettivi. In aggiunta alla forza statistica del modello di analisi, il lavoro supera il concetto di riproducibilità del dato, visto che replica i risultati provenienti da 5 dataset appartenenti a diversi registri del sistema sanitario nazionale. Ai notevoli punti di forza si aggiungono alcune limitazioni dello studio, tra cui il fatto che l’algoritmo statistico utilizzato per stimare il rischio di ASD trascura il contributo delle interazioni gene-ambiente e le possibili correlazioni gene-ambiente.

Dallo studio è emerso che l’ereditabilità dell’autismo è alta (circa l’80%) in quanto la maggior parte dei rischi di insorgenza è da attribuire a fattori genetici ereditati, mentre i fattori ambientali esterni contano poco. Anche se a lungo considerato un problema psicologico dovuto all’interazione del soggetto con l’ambiente, in particolare con genitori freddi e distaccati, ad oggi le evidenze scientifiche dimostrano chiaramente come l’autismo abbia una forte componente ereditabile.

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