Articoli

Riduzione ore di sostegno a scuola. La condanna del MIUR dal Tar

Arriva la notizia di un’altra sentenza del TAR Lazio (in questo caso TAR Lazio Roma Sez. III bis, Sent., (ud. 06-02-2018) 05-04-2018, n. 3790) che condanna il MIUR in merito alla riduzione delle ore di sostegno a scuola.

Una sentenza che arriva a seguito dell’esposto da parte di alcuni genitori che si sono viste le ore di sostegno erogate per il proprio figlio, affetto da handicap, ridotte negli anni. “I ricorrenti – si legge nella sentenza – hanno rappresentato che il loro figlio, in quanto affetto da patologia invalidante grave, necessita di essere assistito permanentemente nelle forme e con le modalità previste dalla legge per favorire l’integrazione e l’inserimento scolastico”: la limitazione delle ore stabilita dall’istituto scolastico risulterebbe pertanto “inadeguata a fronte delle 40 ore settimanali frequentate dal bambino a tempo pieno dal lunedì al venerdì” ed hanno, quindi, chiesto “la reintegrazione delle ore di sostegno nella misura complessivamente spettanti a copertura totale dell’orario scolastico pari a 1:1 settimanali”. In diritto hanno sollevato le censure di eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed irragionevolezza, difetto di motivazione, sviamento e contraddittorietà, violazione e falsa applicazione di legge ecc.

 Così il TAR: “come più volte statuito da numerose e recenti decisioni del Consiglio di Stato, il diritto all’istruzione del disabile, ed in particolare del disabile grave, costituisce un diritto fondamentale rispetto al quale il legislatore (in prima battuta) e l’amministrazione (in attuazione della legge) non possono esimersi dall’apprestare un “nucleo indefettibile” di garanzie, fino anche a giungere alla determinazione di un numero di ore di sostegno pari a quello delle ore di frequenza, in caso di accertata situazione di gravità del disabile”.
A riguardo, inoltre, il Consiglio di Stato aggiunge che sono necessari tutti gli interventi utili a consentire, nel diritto del disabile, all’integrazione scolastica ed allo sviluppo delle sue potenzialità nell’apprendimento, nella comunicazione e nelle relazioni, per consentirgli il raggiungimento della massima autonomia possibile.
Peraltro – come pure è stato affermato, a più riprese, in giurisprudenza – i principi costituzionali impongono di dare una lettura sistematica alle disposizioni sulla tutela degli alunni disabili ed a quelle sull’organizzazione scolastica e sulle disponibilità degli insegnanti di sostegno, nel senso che le posizioni degli alunni disabili devono prevalere sulle esigenze di natura finanziaria. Nel caso di specie, il Tar ha stabilito che il minore, così come domandato dai ricorrenti, e per l’anno scolastico di riferimento, ha diritto all’insegnante di sostegno per l’intero arco della giornata scolastica, ossia secondo il rapporto 1:1, con ogni conseguente obbligo in capo all’amministrazione intimata.
Il Tribunale amministrativo ha inoltre deciso per un risarcimento alla famiglia, in misura pari ad Euro 800,00 per ogni mese (con riduzione proporzionale per le frazioni di mese) per il quale risulti che, durante l’anno scolastico 2016/17, e nonostante le pronunce cautelari di questo TAR, il minore abbia effettivamente sofferto della mancata assistenza nel predetto rapporto di 1:1.

I permessi lavorativi e le esigenze di chi presta assistenza | La decisione della Cassazione

Novità per i permessi lavorativi per l’assistenza a un congiunto con handicap in stato di gravità: una sentenza recente della Corte di Cassazione, infatti, ha espresso il proprio parere sull’interpretazione delle disposizioni in materia. Con questa sentenza si arriva a contemplare anche, entro determinati limiti, il soddisfacimento delle esigenze del lavoratore.

In base a quanto stabilito dalla Suprema Corte, l’interesse primario espresso nella norma che istituisce questi permessi lavorativi è quello di «assicurare in via prioritaria la continuità nelle cure e nell’assistenza del disabile» realizzate in ambito familiare. La Corte osserva che questa prospettiva consente che i permessi lavorativi siano «soggetti ad una duplice lettura: a) vengono concessi per consentire al lavoratore per prestare la propria assistenza con maggiore “continuità”; b) vengono concessi per consentire al lavoratore, che con abnegazione dedica tutto il suo tempo al familiare handicappato, di ritagliarsi un breve spazio per provvedere ai propri bisogni ed esigenze personali».

Ma, si legge anche sul sito Superando.it, su un articolo di Simona Lancioni, “poiché una lettura non esclude l’altra, ed essendo certo «che da nessuna parte della legge, si evince che, nei casi di permesso, l’attività di assistenza deve essere prestata proprio nelle ore in cui il lavoratore avrebbe dovuto svolgere la propria attività lavorativa», è possibile concludere che è sufficiente che l’assistenza «sia prestata con modalità costanti e con quella flessibilità dovuta anche alle esigenze del lavoratore».
Pertanto se – sempre secondo la Cassazione – «i permessi servono a chi svolge quel gravoso [compito] di assistenza a persona [i.e. persone] handicappate, di poter svolgere un minimo di vita sociale, e cioè praticare quelle attività che non sono possibili quando l’intera giornata è dedicata prima al lavoro e, poi, all’assistenza», è tuttavia altrettanto ovvio che l’assistenza deve esserci, e che pertanto i permessi non possono essere considerati come dei veri e propri periodi di ferie dei quali il lavoratore potrebbe disporre discrezionalmente. Non è dunque ammissibile che – come nel caso specifico da cui è scaturita la Sentenza – il lavoratore utilizzi i permessi per recarsi all’estero, poiché tale attività non è compatibile con lo svolgimento di alcuna attività assistenziale. Un conto, cioè, è organizzarsi il lavoro di assistenza in modo da renderlo meno gravoso e compatibile anche con le esigenze del lavoratore, altra questione è invece assentarsi e non svolgere alcuna assistenza.

In conclusione,  e in sintesi, ciò che viene espresso in questa Sentenza della Corte di Cassazione è che l’attività di assistenza non deve essere concepita come un qualcosa di totalizzante, ma come un lavoro dotato di una flessibilità tale da soddisfare contemporaneamente sia le esigenze della persona disabile (che rimane in ogni caso la beneficiaria della misura in questione), sia quelle del lavoratore che assiste (o, almeno,alcune di esse)”.

©Riproduzione riservata

Legge 104, ferie o permessi? La sentenza della Corte di Cassazione

I tre giorni di permesso per assistere persone disabili non sono equiparabili alle ferie. Ma in ogni caso servono anche per far “riposare” chi ne usufruisce. La Corte di Cassazione è intervenuta a riguardo per chiarire il concetto.

La Corte di Cassazione reinterviene infatti (II sezione penale, sentenza 23 dicembre 2016, n. 3209) sulla natura dei permessi ex legge 104/1992 consistenti nel diritto del lavoratore pubblico o privato “che assiste persona con handicap in situazione di gravità, coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado” a determinate condizioni di fruire “di tre giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa, anche in maniera continuativa”.

Vi proponiamo la sentenza integrale dell’organo.

La trovate a questo link: http://bit.ly/2j0jtiq

Buona lettura!