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Nuovi modelli PEI: Certificazione delle competenze, debito di funzionamento e tabella fabbisogni

Torniamo sull’argomento “Nuovi modelli PEI” grazie ad un ulteriore approfondimento a cura di Graziella Roda. Riportiamo di seguito un articolo da lei scritto su certificazione delle competenze, debito di funzionamento e tabella fabbisogni.

  1. Certificazione delle competenze (sezione 10 del PEI)

“La certificazione delle competenze per il primo ciclo è regolata dal DLgs 62/2017, art. 9, e dal conseguente DM 742/17; per il secondo ciclo si fa ancora riferimento al DM 139 del 2007 e al DM 9 del 2010”.  Così recitano le linee guida. Quindi, in poche parole, il primo ciclo ha una strutturazione recente mentre il secondo ciclo no.

Di cosa stiamo parlando? Gli insegnanti lo sanno ovviamente, ma i genitori possono non avere ben chiara la genesi di questo aspetto valutativo.

Per il primo ciclo di istruzione (fino alla scuola secondaria di I grado compresa) questi sono i riferimenti normativi.

Il Decreto Legislativo 13 aprile 2017 n. 62 Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107. (https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/05/16/17G00070/sg )

è uno dei decreti applicativi della Legge 107/2015, come dice l’intitolazione stessa.

Seguono i due Decreti ministeriali emessi in data 3 ottobre 2017: il n.741 “Esame di Stato conclusivo del I ciclo di istruzione” ( https://www.miur.gov.it/-/d-m-741-del-3-10-2017-esame-di-stato-conclusivo-del-primo-ciclo-di-istruzione ) e il n.742 “Finalità della certificazione delle competenze” (https://www.miur.gov.it/-/d-m-742-del-3-10-2017-finalita-della-certificazione-delle-competenze-).

“La certificazione delle competenze descrive i risultati del processo formativo al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado, secondo una valutazione complessiva in ordine alla capacità di utilizzare i saperi acquisiti per affrontare compiti e problemi, complessi e nuovi, reali o simulati”. (DM 742/2017 art. 1 comma2)

Al decreto 742/2017 sono allegati due modelli di certificazione delle competenze, uno per la scuola primaria e uno per la scuola secondaria di I grado.

Inoltre, nel pacchetto di norme citato, vi è il riferimento alle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del I ciclo di istruzione (http://www.indicazioninazionali.it/wp-content/uploads/2018/08/Indicazioni_Annali_Definitivo.pdf )

Nelle linee guida si precisa quanto segue:

Il modello nazionale del primo ciclo è unico e non modificabile e va pertanto utilizzato anche per alunne e alunni con disabilità. Poiché per loro la valutazione degli apprendimenti, in qualsiasi forma venga proposta, deve essere sempre coerente con il PEI, il DM 742 consente di intervenire con annotazioni che rapportino il significato degli enunciati di competenza agli obiettivi specifici, intervenendo sia rispetto alle competenze o ai loro descrittori, sia rispetto ai livelli raggiunti

Il modello è unico, ma può essere “adattato” ai singoli alunni.

“In alcuni casi il modello di certificazione ufficiale, se assolutamente non compatibile con il PEI, può essere lasciato in bianco, motivando la scelta nelle annotazioni e definendo lì i livelli di competenza effettivamente rilevabili”.

Infine si ribadisce che la certificazione delle competenze è, come la valutazione degli apprendimenti, compito del Consiglio di Classe non del GLO.

Per la scuola secondaria di II grado i passaggi normativi sopra citati non sono stati effettuati, per cui si fa ancora riferimento alle norme precedenti:

il Decreto Ministeriale 22 agosto 2007 n. 139 “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” (https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/dm139_07.shtml )

e il Decreto Ministeriale 27 gennaio 2010 n.9 che dirama i modelli di certificazione dei livelli di competenza raggiunti nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione (https://www.disal.it/objects/Pagina.asp?ID=11667 ).

Le linee guida ripetono quanto già detto nel primo ciclo (senza la prescrittività dei modelli) e aggiungono che “alla certificazione delle competenze non si applicano le considerazioni sulla validità del percorso ai fini del conseguimento del titolo di studio (percorsi differenziati o prove equipollenti)”.

L’unica cosa da aggiungere è la segnalazione di un altro vuoto normativo, che riguarda la generalità degli alunni delle scuole secondarie di II grado.

  1. Modelli allegati al PEI: debito di funzionamento e tabella fabbisogni

La sezione 11 del PEI è dedicata alla verifica finale e alle proposte per le risorse professionali.

In tutte le varie articolazione del PEI è prevista la fase di verifica, ed è indicato lo “spazio” in cui registrarne gli esiti.

Nelle linee guida si precisa quanto segue:

Il modello nazionale del primo ciclo è unico e non modificabile e va pertanto utilizzato anche per alunne e alunni con disabilità. Poiché per loro la valutazione degli apprendimenti, in qualsiasi forma venga proposta, deve essere sempre coerente con il PEI, il DM 742 consente di intervenire con annotazioni che rapportino il significato degli enunciati di competenza agli obiettivi specifici, intervenendo sia rispetto alle competenze o ai loro descrittori, sia rispetto ai livelli raggiunti

Il modello è unico, ma può essere “adattato” ai singoli alunni.

“In alcuni casi il modello di certificazione ufficiale, se assolutamente non compatibile con il PEI, può essere lasciato in bianco, motivando la scelta nelle annotazioni e definendo lì i livelli di competenza effettivamente rilevabili”.

Infine si ribadisce che la certificazione delle competenze è, come la valutazione degli apprendimenti, compito del Consiglio di Classe non del GLO.

Per la scuola secondaria di II grado i passaggi normativi sopra citati non sono stati effettuati, per cui si fa ancora riferimento alle norme precedenti:

il Decreto Ministeriale 22 agosto 2007 n. 139 “Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione” (https://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2007/dm139_07.shtml )

e il Decreto Ministeriale 27 gennaio 2010 n.9 che dirama i modelli di certificazione dei livelli di competenza raggiunti nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione (https://www.disal.it/objects/Pagina.asp?ID=11667 ).

Le linee guida ripetono quanto già detto nel primo ciclo (senza la prescrittività dei modelli) e aggiungono che “alla certificazione delle competenze non si applicano le considerazioni sulla validità del percorso ai fini del conseguimento del titolo di studio (percorsi differenziati o prove equipollenti)”.

L’unica cosa da aggiungere è la segnalazione di un altro vuoto normativo, che riguarda la generalità degli alunni delle scuole secondarie di II grado.

  1. Modelli allegati al PEI: debito di funzionamento e tabella fabbisogni

La sezione 11 del PEI è dedicata alla verifica finale e alle proposte per le risorse professionali.

In tutte le varie articolazione del PEI è prevista la fase di verifica, ed è indicato lo “spazio” in cui registrarne gli esiti.

la questione non si regge neppure a livello linguistico.  Il GLO deve individuare il debito di funzionamento, l’intestazione del progetto riguarda la situazione iniziale in rapporto alle “capacità” dell’allievo e poi, Dimensione della relazione etc. “assente”, “lieve” …

Cosa è assente o lieve? La dimensione della relazione in rapporto alla situazione iniziale delle “capacità” dell’alunno? E dove si innesta il profilo di funzionamento?

Anche qui il linguaggio si avviluppa: debito di funzionamento sulle capacità? Cosa significa? Forse da qualche parte ci sono degli standard di “capacità” rispetto ai quali si va ora a quantificare il “debito” dell’alunno?

E poi, questo debito, dalle 4 dimensioni, si trasferisce automaticamente ad una classificazione, e una soltanto (ne parlo più avanti).

Il primo riquadro esce forse dall’ambiguità, dicendo chiaramente che quella che si va a definire è l’entità delle difficoltà: cade la maschera delle potenzialità. E delle difficoltà, se crediamo alle linee guida, secondo il “perimetro” tracciato dal profilo funzionale.

Il comma 2 dell’art. 18 l’ho riportato all’inizio e non ci torno.

Il comma 3 ci porta un passo in avanti negli scopi esatti di questa parte del PEI.

“Il GLO formula una proposta relativa al fabbisogno di risorse professionali per il sostegno e l’assistenza, con il fine di attuare gli interventi educativo-didattici, di assistenza igienica e di base, nonché di assistenza specialistica, nell’ambito dei range e dell’entità delle difficoltà indicati nella Tabella di cui all’Allegato C1”.

Ecco: la dizione “debito di funzionamento sulle capacità” diventa la base sulla quale si definisce (non nel testo del decreto ma nell’allegato che di esso fa parte), un range di ore di sostegno automaticamente richiedibili in relazione ai livelli di difficoltà.

Voglio soltanto segnalare l’assurdità del primo livello, in cui l’entità delle difficoltà nello svolgimento delle attività comprese in ciascun dominio … potrebbe essere assente. Se così fosse, quel bambino/ragazzo non avrebbe diritto alla certificazione, visto che questo è il quadro riassuntivo e non quello analitico, dimensione per dimensione. Voglio dire che potrebbe esserci un alunno che non ha alcuna difficoltà nelle autonomie di base, ad esempio. Ma ha consistenti difficoltà in tutte le altre dimensioni. Da qui sorge la necessità della certificazione. Ma un alunno che non ha difficoltà in alcuna dimensione, che ci sta a fare dentro la 104?

Comunque per un alunno certificato legge 104 che ha in ogni dimensione un livello di debito di funzionamento sulle capacità di livello lieve, si potrebbero chiedere da 0 a 6 ore di sostegno. Quindi anche 3 o 4 la settimana: se fa il tempo pieno su 40 ore di frequenza a scuola. Cosa assurda se si accettasse l’ottica pedagogica del PEI, che parla di sviluppo delle potenzialità: è chiaro che un alunno con lievi compromissioni, con un buon lavoro di supporto, potrebbe più facilmente avvicinarsi agli standard dei compagni e raggiungere una buona qualità della vita.

Il totale comunque non può superare l’orario di cattedra di un insegnante di quell’ordine di scuola. Nonostante ci siano montagne di sentenze che dicono diversamente.

Inoltre non si capisce come il GLO, anche accettando di lavorare su uno schema di questo genere (e secondo me non dovrebbe farlo), potrebbe passare dai diversi livelli che possono essere presenti in ciascuna dimensione ad una classificazione sommativa finale. Una dimensione che ha livello di difficoltà lieve, una grave, una molto grave e la quarta assente: che livello complessivo assomma? Ci inventiamo un punteggio?

Non vale neppure la giustificazione legata al fatto che si chiede di censire tutte le risorse potenzialmente assegnabili all’alunno raccattandole tra quelle a disposizione della scuola.

Potremmo certamente utilizzare ore di insegnante dell’organico dell’autonomia, togliendolo ad altri compiti (per esempio il recupero dei ritardi di apprendimento, per cui non ci sono altre risorse). Al di là della correttezza etica di questa indicazione (che dovrebbe restare l’ultima ratio), si tratterebbe sempre di personale non qualificato, non specializzato.

Molti anni fa un illustre pedagogista parlò dell’ “interdisciplinarità di Arlecchino” per indicare come la moda vigente al momento di parlare di interdisciplinarità, stesse generando insegnamenti in cui le varie discipline erano non integrate ma giustapposte come le toppe del vestito di Arlecchino.

Questa indicazione normativa, di formare la struttura di sostegno andando a caccia di “risorse” qua e là, assomiglia molto al vestito di Arlecchino, nuova edizione aggiornata e rivista.

Nuovi modelli di PEI: Scuola secondaria, valutazione del comportamento e quadri orari

In questo articolo, grazie agli spunti di Graziella Roda e partendo dall’analisi dei nuovi modelli di PEI, analizzeremo:

1.     Scuola secondaria di II grado: Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento

2.     La valutazione del comportamento

3.     Quadri orari e dettagli sulla partecipazione dell’alunno alla vita complessiva della classe e della scuola

  1. Scuola secondaria di II grado: Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento

Per la generalità degli allievi è stato emanato il Decreto Ministeriale 4 settembre 2019 n. 774, che però non si occupa di allievi certificati. Infatti, nelle premesse del decreto, si legge quanto segue: “CONSIDERATA l’opportunità di riservare ad un successivo provvedimento la predisposizione di apposite Linee guida per gli studenti con disabilità frequentanti i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento di cui al presente decreto, coinvolgendo le associazioni di riferimento e l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica”.

Queste linee guida non risulta siano state pubblicate finora, dopo 18 mesi dall’emanazione del decreto “generalista”.

Quindi, affrontando la parte del PEI dedicata ai PCTO, non è tanto complicata la compilazione del modello quanto la strutturazione dei percorsi che non sono supportati dalle nuove linee guida.

Ed è davvero contraddittorio che si richiami in continuazione la necessità di essere inclusivi e non precludere alcuna esperienza formativa agli alunni certificati, poi si arrivi a quasi due anni dalle norme per tutti senza essersi efficacemente occupati di quelle per gli alunni certificati. Credo che l’idea di indicazioni specifiche per gli alunni certificati, in questo caso, non sia una vera e propria discriminazione, quanto il riconoscimento delle infinite complessità (e anche degli enormi ostacoli) che questo processo comporta. Ma è emarginante il fatto che le indicazioni specifiche per gli studenti con disabilità non siano ancora state emanate.

Ed è curioso che nelle linee guida allegate al decreto sui nuovi PEI, nella parte in cui si illustra la struttura per i PCTO non si faccia cenno alcuno alla mancanza di questo fondamentale tassello.

Per il resto, nel modello di PEI sono indicate 3 categorie di PCTO (aziendale, scolastico, altro) di cui si chiedono alcuni dettagli fondamentali.

  1. La valutazione del comportamento

Il punto 8.5 nei nuovi PEI è dedicato specificamente alla questione del comportamento, ovviamente in relazione a problemi comportamentali di particolare rilevanza rilevabili in contesto scolastico ed eventualmente anche a casa o nell’extra-scuola.

Occorre innanzi tutto indicare quanto segue:

A – Il comportamento è valutato in base agli stessi criteri adottati per la classe

B – Il comportamento è valutato in base ai seguenti criteri personalizzati e al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Nel successivo punto 9 c’è un approfondimento particolare proprio sulla prevenzione e gestione delle crisi comportamentali a scuola. Si tratta di uno spazio lasciato bianco e quindi liberamente compilabile.

Per aiutare le scuole ad affrontare la questione delle crisi comportamentali, l’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna ha pubblicato una nota reperibile al link seguente: https://www.istruzioneer.gov.it/2018/07/18/prevenzione-e-gestione-delle-crisi-comportamentali-a-scuola-ii-edizione/

È un insieme molto corposo di strumenti di osservazione e descrizione analitica delle crisi e del contesto in cui si presentano, e per la definizione di un piano per la prevenzione e la gestione, piano per l’intera scuola da inserire nel PTOF, e piano per il singolo alunno, da collegare al PEI, proprio in questo punto di cui ora stiamo trattando. Uno degli allegati a questa nota riguarda anche le attività didattiche concrete che possono aiutare a prevenire le crisi migliorando la comunicazione e costruendo contesti più adeguati alle esigenze o alle difficoltà dei singoli alunni.

  1. Quadri orari e dettagli sulla partecipazione dell’alunno alla vita complessiva della classe e della scuola

Il quadro 9 è una specie di quadro orario amplificato, in cui si registrano gli orari dell’alunno e quelli delle persone che gli sono collegate (insegnanti di sostegno, educatori, personale ATA per l’assistenza personale, ecc.).

Viene chiesto di precisare con esattezza in quali momenti l’alunno non è in classe, perché, cosa va a fare, dove, con chi e per quali obiettivi.

Non dovrebbe più presentarsi la questione dell’alunno disabile che puntualmente esce dalla classe dopo i primi 5 minuti e vaga da un laboratorio ad un altro, da un’auletta di sostegno ad un’altra.

Viene inoltre chiesto di precisare se, in modo continuativo, l’alunno deve assentarsi da scuola. Non si tratta di un orario “creativo” ma di far fronte ad effettive necessità. Ad esempio le due ore settimanali di logopedia programmate in orario scolastico, o le ore di psicomotricità.

Un altro punto fondamentale riguarda le visite o le uscite didattiche. È capitato tante volte, troppe volte, che la classe parte in gita o va da qualche parte e l’alunno certificato viene lasciato a scuola. Le scuse trovate sono le più creative.

In questo modello di PEI fin dall’inizio dell’anno scolastico occorre precisare quali gite o uscite didattiche si pensa di fare per la classe e come l’alunno certificato partecipa ad esse, quali ostacoli occorre rimuovere, avendo tempo per farlo, e cosa occorre predisporre affinché tutto fili liscio.

Bisogna essere chiari: se avendo pensato a tutto si scopre che la partecipazione dell’alunno certificato è impossibile … si cambia attività, non si lascia l’alunno a casa. Se non ci si può andare tutti, allora si va in un altro posto.

Infine nel modello di PEI c’è spazio per raccordare le attività scolastiche e quelle extrascolastiche, richiamando il punto iniziale in cui si parlava, appunto, di raccordo tra PEI e PI.

Questo per sottolineare ancora che l’esperienza di vita che l’alunno con disabilità vive, deve essere coerente e coordinata; tutti gli attori devono “tirare dalla stessa parte”.

Percorsi nella scuola secondaria di II grado: diploma sì/diploma no

In questo articolo, Graziella Roda tratta la questione, molto rilevante, dei percorsi nella scuola secondaria di II grado, perché in questo pacchetto di norme si fanno distinzioni molto chiare, che è bene comprendere sia come genitori sia come insegnanti. Di seguito il testo integrale della sua comunicazione:

1)     Percorsi nella scuola secondaria di II grado: diploma sì/diploma no

La questione centrale è che nel nostro Paese i diplomi della scuola secondaria di II grado hanno valore legale. Chi fosse particolarmente attratto dalla questione può trovare a questo link gli esiti di una indagine promossa dal Senato nel 2011. http://www.senato.it/documenti/repository/dossier/studi/2011/Dossier_280.pdf

Quindi, senza entrare negli aspetti giuridici della questione e neppure nella discussione che negli anni periodicamente si riaccende sull’opportunità o meno di togliere il valore legale ai titoli di studio, ora mi serve soltanto sottolineare che questo fatto è all’origine delle diverse tipologie di PEI che possono essere definiti per i ragazzi con disabilità.

Il decreto all’art. 10 comma 3 li specifica in questo modo:

Nel PEI è indicato il tipo di percorso didattico seguito dallo studente, specificando se trattasi di:

  1. percorso ordinario;
  2. percorso personalizzato (con prove equipollenti);
  3. percorso differenziato”.

In questo non c’è niente di nuovo rispetto alla normativa precedente (e non potrebbe essere diversamente, dal momento che questo decreto ministeriale non può scostarsi dalle leggi generali sull’istruzione).

Nel modello di PEI della scuola secondaria di II grado viene richiesta la compilazione, disciplina per disciplina, delle seguenti informazioni, che traggo dalle linee guida per maggiore leggibilità:

Disciplina: ______________

A – Segue la progettazione didattica della classe e si applicano gli stessi criteri di valutazione

B – Rispetto alla progettazione didattica della classe sono applicate le seguenti personalizzazioni in relazione agli obiettivi specifici di apprendimento (conoscenze, abilità, competenze) e ai criteri di valutazione ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… con verifiche identiche û equipollenti û

C – Segue un percorso didattico differenziato: ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… con verifiche  non equipollenti [indicare la o le attività alternative svolte in caso di differenziazione della didattica ………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………… …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Cui segue il seguente quadro riassuntivo:

La Studentessa/lo Studente segue un percorso didattico di tipo:

û 1. ordinario

û 2 personalizzato (con prove equipollenti)

û 3 differenziato

Vediamo nel dettaglio cosa le Linee Guida specificano rispetto alla questione.

Il tema è trattato diffusamente ai punti 8.2 e 8.3

Non riporto qui tutto il contenuto di questi punti, perché è molto lungo e dettagliato ed è bene che ciascuno lo ponderi direttamente.

Cerchiamo semplicemente di riassumerne i punti essenziali (che non modificano norme generali dell’istruzione ma specificano meglio la questione, vista la molta confusione che in taluni casi si era venuta creando).

  1. a)Per poter ottenere il diploma finale l’alunno certificato deve poter seguire “un percorso di studi che, anche se personalizzato, sia sostanzialmente riconducibile a quello previsto per l’indirizzo di studi frequentato e sostenere, in tutte le discipline, prove di verifica ritenute equipollenti, ossia ritenute dello stesso valore di quelle somministrate alla classe
  2. b)Laddove ciò non sia possibile, si accede ad una progettazione che viene chiamata “differenziata” e che consente qualsiasi tipo di personalizzazione di cui l’alunno possa avere necessità. Tale progettazione non porta al titolo di studio ma ad un attestato di competenze.
  3. c)“Le decisioni che riguardano la corrispondenza dei percorsi disciplinari e l’equipollenza – ossia la validità delle prove di verifica – sono di competenza del Consiglio di classe non del GLO nel suo insieme … occorre ricordare che questa decisione rientra nella valutazione degli apprendimenti e il Consiglio di Classe ha pertanto diritto ad affrontarla in modalità riservata, senza doverne discutere con gli altri partecipanti ai lavori del GLO”;
  4. d)Quanto indicato al punto precedente non implica che la famiglia debba per forza accettare un PEI differenziato “La prima applicazione della programmazione differenziata richiede una formale proposta del Consiglio di classe ai genitori, che successivamente deve essere concordata con loro: essi possono rifiutarla e in questo caso saranno somministrate in tutte le discipline delle prove equipollenti, ossia valide secondo l’ordinaria progettazione dell’indirizzo di studi frequentato, anche se andranno comunque garantite le attività di sostegno e continueranno ad essere applicate tutte le personalizzazioni ai metodi di valutazione indicati nel riquadro 8.2”
  5. e)Quanto sopra riportato è particolarmente importante perché precisa che il fatto che la famiglia scelga di non accettare il PEI differenziato non implica l’abbandono dell’alunno alla vita della classe; non lo si lascia senza aiuti nel suo percorso di apprendimento. Vanno infatti individuate ed applicate tutte le forme di compensazione possibili, pur restando nell’ambito del percorso equipollente.
  6. f)C’è un punto nelle linee guida che desta una qualche preoccupazione secondo me: “La scuola deve verificare che siano chiare ai genitori le conseguenze di ogni decisione presa in questo ambito, ossia che cosa comporta l’accettazione del percorso differenziato ma anche quali possono essere i rischi di insuccesso a cui lo studente può andare incontro se deve sostenere valutazioni equipollenti. Poiché i soggetti coinvolti in questa decisione (genitori e Consiglio di classe) partecipano ai lavori del GLO, ma sono autonomi e distinti rispetto ad esso nelle rispettive differenziazioni, si deciderà secondo i casi se inserire queste procedure all’interno del gruppo stesso, verbalizzando le decisioni assunte, o se sia più opportuno gestirle separatamente”. È chiaro a questo punto che la differenziazioni tra le componenti del GLO scuola/famiglia, che pare sia stato giustificato dicendo che si trattava semplicemente di definire l’accesso al SIDI, si appalesa invece chiaro in questo passaggio: ci sono due componenti distinte nel GLO, una sono i docenti e una è la famiglia, la scuola può decidere di discutere la scelta del PEI differenziato o equipollente senza la presenza della famiglia, cui resterà soltanto la possibilità di accettarla o rifiutarla;
  7. g)Una volta accettata la programmazione differenziata, essa prosegue negli anni seguenti senza che sia necessaria automaticamente una nuova approvazione da parte della famiglia
  8. h)Tuttavia è possibile modificare la scelta sia in un senso sia in un altro. È cioè possibile passare da un PEI equipollente a uno differenziato nel caso si verifichi che l’alunno non è in grado di seguire la programmazione della classe neppure con gli aiuti possibili. È altresì possibile passare da un PEI differenziato ad un PEI equipollente: “Il passaggio dalla programmazione differenziata a una valida per il conseguimento del titolo è infatti possibile se il Consiglio di classe decide, in base agli elementi di valutazione in suo possesso e con adeguata motivazione, che lo studente è in grado di apprendere anche le discipline seguite in precedenza in modo differenziato, sostenendo in un secondo momento prove equipollenti
  9. i)Nelle linee guida c’è una precisazione importante a proposito del passaggio dalla programmazione differenziata alla programmazione equipollente. “A tutte le considerazioni fatte fin qui si collega anche il problema del passaggio da PEI differenziato a PEI semplificato. La “procedura” con la quale alcune famiglie chiedono questo passaggio solo nell’ultimo anno, con esiti spesso paradossali e con frequente insorgenza di contenzioso, è una grave criticità e una stortura più e più volte segnalata dalle istituzioni scolastiche. Infatti è del tutto evidente che sostenere un esame con prove equipollenti sulla base di un PEI “semplificato” significa che tali prove debbono essere costruite in modo tale da poter accertare il raggiungimento, sia pur a livello essenziale, di competenze e risultati / obiettivi di apprendimento di un intero percorso scolastico, e non dell’ultimo anno. Un raggiungimento che non può avvenire nell’arco del solo ultimo anno, se negli anni precedenti il percorso non è stato conforme a quello ordinario. Pur tuttavia, è sempre ammessa la possibilità di rientrare in un percorso ordinario, qualora lo studente superi prove integrative, in apposita sessione, relative alle discipline e ai rispettivi anni di corso duranti i quali è stato seguito un percorso differenziato”.
  10. j)È bene ancora precisare che “In presenza di percorsi misti, differenziati in alcune discipline e sostanzialmente ordinari o personalizzati ma con verifiche equipollenti in altre, il percorso didattico complessivo è necessariamente differenziato, perché nel nostro impianto ordinamentale è sufficiente una singola “non conformità” in una disciplina per precludere il conseguimento del diploma
  11. k)In un successivo passaggio, le linee guida entrano in modo più specifico sulla questione dei percorsi equipollenti e sulle relative modalità di valutazione. “Con l’opzione “B” si definisce un percorso che, pur personalizzato o adattato, conserva la sua validità ai fini del conseguimento del titolo di studio e prevede la possibilità di somministrare prove di verifica dichiarate equipollenti (in certi casi particolari, anche identiche), ossia dello stesso valore di quelle della classe pur se diverse rispetto ai contenuti, rendendo possibili semplificazioni che non compromettano la loro validità. Possono rientrare in questo ambito eventuali dispense da prestazioni ritenute non indispensabili, supporti che garantiscono in ogni caso l’autonomia di base, facilitazioni non determinanti… Valutando queste personalizzazioni si terrà conto anche della rilevanza che possono avere le varie discipline nello specifico indirizzo di studi. Modificando in questo modo la progettazione, anche se non in modo radicale, cambiano molto probabilmente anche i risultati attesi per cui diventa necessario adattare i criteri di valutazione definiti per la classe”. È bene fare molta attenzione in questi passaggi, perché le scuole corrono il rischio, con buone intenzioni, di concedere facilitazioni che poi, arrivando all’Esame di Stato, potrebbero costituire un ostacolo al diploma, soprattutto ove non fossero accettate dal Presidente di Commissione. Quindi prima di effettuare scelte rischiose i dirigenti scolastici e i docenti sono invitati a consultare l’Amministrazione, in modo particolare i Dirigenti Tecnici che effettuano la sorveglianza sugli Esami di Stato.
  12. l)Torna ovviamente la questione dell’esonero da alcune discipline, che nella scorsa mail ho definito incomprensibile, in quanto totalmente riconducibile alla fattispecie del PEI differenziato (perché questo è). In ogni caso le linee-guida precisano che “L’esonero è deciso dal Consiglio di classe, non solo dall’insegnante titolare della disciplina, e deve costituire una scelta eccezionale derivante da impedimenti oggettivi o incompatibilità, non da mere difficoltà di apprendimento In questi casi si specifica che per la disciplina in questione è stato deciso l’esonero e, di conseguenza, si indica quali attività alternative vengono svolte in quelle ore, nonché come vengono organizzate e valutate.”. Ripeto tuttavia che questa questione dell’esonero è soltanto confusiva, sempre a mio avviso. 

2)     Diritto allo studio non significa diritto al diploma

Proprio la questione del valore legale del titolo di studio fa sì che non si possa richiedere a tutti i costi l’ottenimento del diploma, perché esso prevede il possesso di determinati standard di competenze che devono essere raggiunti. Nelle linee guida c’è un settore in cui si esamina in modo approfondito la questione, partendo dalla sentenza della Corte Costituzionale n.215/87.

Nuovi modelli di PEI

In questo articolo, affronteremo, grazie al prezioso lavoro riassuntivo di Graziella Roda, che ci fornisce il testo, il difficile percorso legato a quella parte del PEI che è dedicata al curricolo dell’alunno e alla progettazione disciplinare.

a)     Curricolo dell’alunno (da art. 10 comma 1)

Senza entrare nel merito della questione del curricolo scolastico, Roda ricorda soltanto e in breve cenno, che con “curricolo scolastico” si intende tutta la progettazione che ogni singola istituzione scolastica compie, rispettando i limiti posti dalle norme generali nazionali. La progettazione è orizzontale, cioè anno per anno di studio, e verticale, per dare unitarietà al percorso degli studenti nel corso di tutta la loro carriera scolastica.

Poiché per norma di legge i curricoli scolastici devono essere inclusivi, questa parte del PEI è dedicata a collegare il percorso di ciascun singolo alunno certificato con tutta la progettazione generale della scuola, che già deve contenere gli “agganci” affinché questo collegamento sia efficace ed autentico (non soltanto dichiarato sulla carta).

Quindi credo di interpretare correttamente l’impostazione pedagogica e didattica di questo modello di PEI dicendo che:

–         tutta la prima parte, dedicata alle 4 dimensioni, riguarda la ricerca del potenziale individuale dell’alunno, e il suo effettivo sviluppo

–         nella seconda parte si va invece ad esplorare la progettazione curricolare della scuola individuandovi tutti collegamenti che possono consentire il perseguimento degli obiettivi dell’alunno certificato nel lavoro comune con i suoi compagni (non soltanto quelli della classe ma di tutta la scuola).

Certamente, a questo punto, sarà fondamentale che il PTOF e la progettazione del curricolo della scuola siano davvero inclusivi, e quindi rendano agevole il lavoro del GLO nell’individuare tutti i punti di intersezione dei percorsi individuali dentro i percorsi comuni.

  1. b)Verifica conclusiva degli esiti (da art.10 comma 5)

Sulla “verifica degli esiti” c’è in effetti un po’ di confusione. Innanzi tutto si va a salvaguardare il principio che la valutazione degli apprendimenti è di esclusiva competenza dei docenti, anche in caso di alunni con disabilità (e questo è bene ribadirlo, viste alcune situazioni che abbiamo incontrato).

Poi però si assegna al GLO il compito di verificare l’adeguatezza del percorso tratteggiato (“il GLO verifica … se l’impianto complessivo della personalizzazione abbia funzionato o meno”).

Andare a verificare gli esiti, in caso di obiettivi non raggiunti, implica presumere che gli obiettivi fossero mal formulati, oppure scelti in modo errato i contenuti o i mezzi o i metodi. Quindi si riflette su cosa si è fatto e come lo si è fatto; in caso non abbia funzionato, la responsabilità, in poche parole, è del mondo adulto che deve riprogrammare i propri interventi.

Per questo l’aggettivo “conclusiva” dopo il sostantivo “verifica” non va inteso, secondo me, come “effettuato al termine dell’anno” ma effettuato ad ogni tranche di lavoro programmato, per consentire di riprogrammare velocemente quello che è necessario. Quindi verifica continua e non sommativa.

  1. c)Esonero da alcune discipline (da art. 10 comma 2)

Innanzi tutto cerchiamo di comprendere da dove possa essere spuntata fuori la questione “esonero”. In effetti sembra venire non dalla normativa sulla disabilità ma da quella sui disturbi specifici di apprendimento. Per questi ultimi, infatti, è prevista la possibilità, per le lingue straniere, di sostituire le prove scritte con prove orali oppure di chiedere “l’esonero” dallo studio delle lingue straniere, che nella scuola secondaria di II grado comporta il rilascio dell’attestato di competenze e quindi non porta al diploma.

Nella normativa per la disabilità, la possibilità di estrema personalizzazione del percorso di apprendimento consente già che alcuni studenti (in modo particolare quelli con disabilità intellettiva grave) possano evitare di affrontare discipline troppo complesse per loro: un alunno con QI 50 non potrebbe affrontare greco o latino, né certamente matematica ad un livello superiore alla semplice aritmetica (ammesso che ci arrivi).

Quindi nelle prime 3 opzioni dell’art. 10 comma 2 del decreto è già descritto ogni possibile intervento di personalizzazione: non si capisce a cosa serva questa questione dell’esonero.

A questo proposito vale ricordare, viste le tante polemiche di cui si trova traccia sui mezzi di comunicazione, che – in ogni caso – esonero da una disciplina non significa esonero dalla presenza in classe durante quelle lezioni: in ogni caso anche ora un alunno con disabilità importante non segue le stesse lezioni dei compagni pur restando presente in classe: nel migliore dei casi affronta temi “affini” o “paralleli” a quelli di compagni, alla cui attività partecipa con le modalità che gli sono possibili e utili.

Non si dica, quindi, che questo è un modo per cacciare gli alunni disabili dalle classi. Innanzi tutto moltissimi di loro, soprattutto nella scuola secondaria, trascorrono in classe pochissimo tempo. Non facciamo finta di non sapere come va il mondo.

La questione dell’esonero va tolta semplicemente perché è inutile e produce “rumore” sul canale comunicativo, creando ansie in un mondo che è già sufficientemente provato e sotto stress (non dimentichiamoci di cosa ha significato il lockdown per tante persone con disabilità e per le loro famiglie).

d) Alcune osservazioni (varie ed eventuali)

Nel corso delle varie comunicazioni più o meno ufficiali sulla questione della composizione del GLO, che ora girano in vari contesti, si è sentita la seguente giustificazione. Si sarebbe scritto che la famiglia “partecipa” al GLO anziché esserne parte costituente perché in seguito si concede ai componenti del GLO di poter consultare SIDI, cosa possibile soltanto ai docenti.

Questa giustificazione, se vera, è assurda. Nel punto del decreto in cui si concede la consultazione dell’anagrafe SIDI per la stesura del PEI, bastava ricordare che l’accesso è riservato ai docenti e al Dirigente (che già dovrebbero avere questo accesso, comunque, per i compiti di servizio).

Quindi, a mio avviso, le associazioni devono chiedere che l’articolo sulla costituzione del PEI venga riscritto senza ambiguità. E basta.

 Altra cosa che si sente affermare, è che con questo PEI finalmente tutto il consiglio di classe sarà chiamato a collaborare per la sua stesura e per l’applicazione.

Ricordo che la norma già vigente stabilisce la corresponsabilità di tutto il consiglio di classe nella programmazione e nell’insegnamento all’alunno certificato. La questione è che questo principio viene rispettato soltanto in pochi e meritevoli casi.

Quindi questo modello di PEI conferma semplicemente la normativa esistente (e non potrebbe modificarla in nessun caso); fornisce uno spazio “fisico” in cui disciplina per disciplina si deve scrivere cosa si fa.

Dimensioni del “funzionamento” dell’alunno

Con questo articolo, grazie allo sforzo di Graziella Roda, approfondiamo il significato delle 4 dimensioni che informano tutto il PEI, a partire dalle informazioni che sono da trarre dal Profilo di funzionamento e che costituiscono poi la base di tutto il lavoro seguente.

Nel PEI, vanno riportate le indicazioni fondamentali sulle quali poi si baserà l’osservazione in situazione dell’alunno, i suoi punti di debolezza e i punti di forza, le barriere e i facilitatori, quindi si trarranno gli obiettivi educativi, intermedi e operativi, si definiranno i contenuti, i metodi, i sussidi, le tecnologie vecchie nuove, le modalità di verifica, ecc.

Le 4 dimensioni non vengono però definite né nel decreto né nelle Linee Guida. O le si dà per scontate o si rimanda alla formazione dei docenti il compito di dettagliarle. E’ bene invece soffermarsi un attimo sul significato di queste parole, soprattutto per i genitori, che dovranno comprenderle bene dal momento che è su di esse che il loro figlio sarà descritto ed educato.

Va detto prima di tutto che queste dimensioni sono di ogni essere umano e riguardano tutto l’arco della vita. L’accentuazione che ne viene data nel PEI è legata alle difficoltà che molti alunni certificati incontrano in queste aree, proprio in relazione alla loro disabilità, e alla fondamentale importanza che assume il loro potenziamento per assicurare la qualità della vita di tali ragazzi.

Socializzazione

Per riassumere cosa si intende con il termine “socializzazione”, per tutti gli essere umani, disabili e non, un utile riferimento può essere la voce riportata nell’Enciclopedia Treccani delle Scienze Sociali, che può essere consultata on-line al seguente link: https://www.treccani.it/enciclopedia/socializzazione_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

“La socializzazione riflette il contesto sociale dello sviluppo dell’individuo e il rapporto dinamico tra individuo e società. In termini generali, essa può essere definita come trasformazione dell’essere biologico in un essere sociale caratterizzato da uno specifico modello culturale di percezione della realtà. La socializzazione comporta l’integrazione o l’adattamento degli individui in varie strutture e relazioni sociali, rappresentate dalla classe, dalla famiglia, dai reticoli, dalla scuola e dall’ambiente di lavoro”.

Quindi qui compare un primo “paletto”. Il termine socializzazione è presente nella prima fase del PEI perché qui va specificato qual è la situazione dell’alunno certificato in questo processo, ma quando si passa alla programmazione, essa riguarda tutto il gruppo classe e l’intera scuola, nonché l’ambiente di vita dell’alunno fuori dalla scuola. È tutto il contesto sociale che opera per la “socializzazione” dei suoi membri. Non è il ragazzino certificato che deve “socializzare”. È il gruppo sociale (adulti compresi) che deve costruire il proprio contesto sociale comprendendovi in modo attivo e positivo ciascuno dei suoi membri.

Interazione (sociale)

Sempre nell’Enciclopedia Treccani sopra citata, possiamo trovare il sunto anche dei vari significati attribuiti all’espressione “interazione sociale”, al link: https://www.treccani.it/enciclopedia/interazione-sociale_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

“Il concetto di interazione sociale abbraccia un vasto campo di fenomeni empirici, e si riferisce sia ad azioni quotidiane di routine (lo scambio di un saluto) che a eventi eccezionali (il divorzio tra due coniugi), sia ad azioni moralmente condannabili (la menzogna o l’omicidio) che ad azioni moralmente encomiabili (donare il sangue). Nel concetto di azione sociale non rientrano solo quei fenomeni empirici in cui si manifesta la componente ‘attivistica’ del fare rivolto verso gli altri.

Si ha un’interazione anche quando si omettono azioni attese (ad esempio il mancato aiuto da parte di una nazione a minoranze etniche perseguitate), quando si tollerano o si subiscono azioni di altri individui … I fenomeni dell’agire sociale inoltre non si limitano a processi di lunga durata, ma comprendono anche contatti fuggevoli (ad esempio lo scambio di un’occhiata). Si può inoltre parlare di interazione sia quando singoli individui agiscono orientandosi gli uni verso gli altri, sia quando più individui agiscono come gruppo, classe o équipe di lavoro”

Qui si capisce che, laddove venga richiesto di fare il punto sulle capacità di interazione sociale di un alunno con disabilità, sono molti i punti che devono essere presi in considerazione, e altrettanti saranno quelli che dovranno essere oggetto di programmazione educativa.

Ma, ancora una volta, occorre avere ben presente che le interazioni, proprio in quanto sociali, avvengono tra più persone. Se focalizzare lo sguardo sull’alunno disabile può essere necessario per comprendere le sue specifiche difficoltà (così come le sue capacità), può altrettanto essere pericoloso, perché si guarda un solo polo, mentre ce ne sono molti.

Relazione (sociale)

Interazione e relazione non sono sinonimi esatti l’una dell’altra, anche se nel linguaggio corrente vengono spesso assimilate.

Una interazione sociale può anche essere effimera (ad esempio come in una certa cultura si saluta quando si entra in un negozio e come ci si può aspettare che avvenga la risposta). Una relazione è qualcosa di più stabile, che si ripete nel tempo, che diventa consuetudine, che assume significato. Ci possono essere relazioni strette o relazioni più superficiali. Ma la competenza a gestirle e a mantenerle (o a lasciarle perdere se e quando negative) sono fondamentali per avere una vita nel mondo.

Quando si parla di relazioni, interazioni sociali e di socializzazione per un alunno con autismo non si parla soltanto o tanto delle difficoltà che il suo disturbo gli causa, ma anche e contemporaneamente del contesto che lo circonda (cioè gli altri poli della relazione); se esso sia o no competente in questa relazione, se è motivato alla relazione o se la rifugge, ad esempio.

Non si abilita un bambino autistico ad un contesto sociale se il contesto sociale non viene a sua volta abilitato. Quindi nel PEI dovrà essere scritto qual è il punto in cui l’alunno si trova, cosa si intende fare – adesso e qui – per migliorare, ma nella programmazione generale della classe e della scuola deve essere scritto cosa si fa per rendere competente la relazione di questi contesti sociali con tutti i loro componenti (non soltanto con l’alunno con autismo). Nel PEI quindi andranno rilevati i punti in cui i due percorsi si intersecano.

Comunicazione e linguaggio

Per poter vivere, agli esseri umani occorre comunicare. L’idea che vi possano essere umani che non hanno bisogno di comunicare (come si sosteneva per l’autismo fino a poco tempo fa) significa non capire la relazione inscindibile che esiste tra gli esseri umani. Gli esseri umani comunicano sempre: anche la non comunicazione è, in effetti, una comunicazione. Gli esseri umani comunicano in molti modi, consapevoli e inconsapevoli, volontari e involontari. Perché i cani capiscono così tanto di noi? Perché ci annusano. Noi emettiamo odori in relazione ai nostri stati d’animo e alle nostre reazioni, odori che noi stessi oggi non percepiamo (se non in alcuni casi) mentre i cani le avvertono nettamente (è possibile che in tempi lontanissimi, quando il linguaggio verbale non era ancora così sviluppato, anche i nostri antenati fossero in grado di comprendere i messaggi odorosi).

Focalizzarsi sulla comunicazione e sui linguaggi (al plurale è meglio che al singolare perché il linguaggio non è soltanto quello parlato/scritto, ci sono altre forme) è fondamentale nell’educazione degli alunni con disabilità e in modo particolare di quelli con autismo. La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) è la branca della tecnologia, della pedagogia e della didattica che si occupa di questo settore.

Tra le molte fonti reperibili in Interne qualcosa prodotto dai CTS dell’Emilia-Romagna.

http://archivi.istruzioneer.it/emr/istruzioneer.it/wp-content/uploads/2017/11/CTS-ER_COMUNICAZIONE-AUMENTATIVA-E-ALTERNATIVA.compressed.pdf

Autonomia e orientamento (nello spazio e nel tempo)

Orientamento in questo contesto significa non decidere gli studi futuri o il lavoro, ma essere orientati nello spazio e nel tempo vissuti.

Sono le dimensioni in cui si inserisce l’esperienza umana: noi siamo in quanto siamo in un certo luogo in un certo tempo (anche se si praticano esperienze virtuali, si è sempre e comunque in uno spazio e in un tempo con il corpo fisico, mentre la mente può essere in un altro spazio/tempo. Questo è uno dei grandi pericoli del mondo virtuale: la “schizofrenia” dell’esperienza).

Autonomia significa essere capaci di fare da soli (o con un certo livello di aiuto) le azioni quotidiane, agendo nello spazio e nel tempo giusti, e facendo ciò che è opportuno, necessario, corretto, ecc.

Essere autonomi nella vita quotidiana e sapersi orientare nello spazio e nel tempo della vita vissuta sono elementi fondamentali per avere una vita e per non dover essere sempre accompagnati, seguiti, vigilati, supportati, gestiti da altri.

Dimensione Cognitiva, Neuropsicologica e dell’apprendimento

Qui è più che mai importante il supporto della componente sanitaria, che dovrà effettuare tutti i test necessari a definire il quoziente di intelligenza, le modalità cognitive, il modo migliore attraverso cui il ragazzo con disabilità conosce il mondo e se stesso e infine impara.

Sapendo che non sono “verità incise sulla pietra” ma indicazioni di possibilità, potenzialità e limiti. La storia dell’educazione ha dimostrato che i limiti possono essere spostati di molto in avanti, che le possibilità aumentano man mano che si impara e che le potenzialità sono molto più vaste di quello che ci si aspettava e addirittura più di quello che si sperava. Senza creare illusioni o falsi miti.

Imparare a capire, imparare a imparare è un lavoro lento, faticoso, minuzioso, fatto di continui errori, di cadute e di piccoli, piccoli, passi pazienti e testardi.

 

Nuovi modelli di PEI – i Gruppi di Lavoro Operativi

Grazie agli spunti e al testo di Graziella Roda sul PEI, intendiamo riprendere altri punti relativi al GLO (i Gruppi di Lavoro Operativi), e nello specifico:

–         La tempistica dei lavori

–         partecipazione da remoto

–         La partecipazione degli alunni certificati della scuola secondaria di II grado

–         Il principio di autodeterminazione

  1. a)Tempistica dei lavori del GLO

Il GLO si riunisce almeno 3 volte l’anno: all’inizio per elaborare il PEI entro il 30 ottobre come scadenza massima (cioè non oltre il 30 ottobre); a metà anno per la verifica intermedia; a fine anno per la verifica finale e la stesura del PEI provvisorio per l’anno successivo, entro il 30 giugno come scadenza massima.

Vi possono essere certamente delle situazioni oggettive nelle quali si va oltre il termine del 30 ottobre. Ad esempio l’allievo arriva ad anno scolastico iniziato o viene certificato in corso d’anno scolastico. Oppure ha un improvviso peggioramento che richiede una revisione completa del PEI già impostato (ci sono anche ragazzi con problemi di salute importanti dentro il quadro delle certificazioni). Sono tutte condizioni che vengono registrate nel PEI stesso.

In caso di un eventuale obbligo di redazione del PEI in un form nella piattaforma SIDI, la possibilità di inserimenti dopo il 30 ottobre non potrà ovviamente essere proibita.

  1. b)Possibilità di partecipazione da remoto

Ovviamente il COVID ha portato a tutta una serie di modifiche nell’assetto delle riunioni e degli incontri, ivi compresi quelli del GLO. La possibilità di partecipazione da remoto dovrebbe rimanere anche quando la minaccia COVID dovesse attenuarsi, soprattutto per i rappresentanti delle ASL che non riuscivano più, per i carichi di lavoro, a spostarsi da scuola a scuola per fare gli incontri in orario post scuola. Quindi o chiedevano i GLO nelle sedi ASL oppure li svolgevano in orario scolastico quindi necessariamente con soltanto alcuni docenti e gravi difficoltà per i genitori impegnati al lavoro. Certamente è sempre bene vedersi di persona, ma incontrarsi on line è meglio di niente.

  1. c)partecipazione ai lavori del GLO dei ragazzi certificati della scuola secondaria di II grado

Cosa dice il decreto? “È assicurata la partecipazione attiva degli studenti e delle studentesse con accertata condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica nel rispetto del principio di autodeterminazione”.

Cosa dicono le Linee Guida? “Partecipazione delle studentesse e degli studenti

Come affermato al comma 11 del novellato articolo 15 della Legge 104 del 1992, nelle scuole secondarie di secondo grado è assicurata la partecipazione attiva delle studentesse e degli studenti con disabilità al GLO che le/li riguarda, nel rispetto del principio di autodeterminazione, sancito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. In particolare, si avrà cura di sviluppare «processi decisionali supportati», ai sensi della stessa Convenzione ONU (CRPD).

A seconda delle situazioni, l’effettiva possibilità di partecipare agli incontri può essere garantita anche considerando un percorso di autonomia e responsabilizzazione da sviluppare gradualmente, stimolando la consapevolezza, nella massima misura possibile, del diritto di autodeterminazione. Qualora si dovesse verificare un eventuale rifiuto a partecipare all’incontro per fattori personali o per altre motivazioni, sarebbe opportuno trovare altre modalità di coinvolgimento al fine di promuovere la massima partecipazione rispetto a una progettazione educativa rivolta a loro, considerando la prospettiva di autonomia della vita adulta e il principio di autodeterminazione definito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità che sancisce: «Il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone»

  1. d)il principio di autodeterminazione

Forse vale la pena di soffermarsi su questo “principio di autodeterminazione” perché a senso ci pare tutti di capire di cosa si tratta ma rifletterci è meglio.

Nel PEI dovrà essere descritto l’ambiente di apprendimento in cui ciascun alunno potrà sviluppare al meglio gli obiettivi fissati per lui.

Allo stesso modo, quando si afferma che la progettazione educativa deve considerare il principio di autodeterminazione, è bene sapere di cosa si tratta, per poter richiedere gli obiettivi corrispondenti nel PEI.

Innanzi tutto il “principio di autodeterminazione” inteso come capacità di scelta autonoma ed indipendente dell’individuo è di recente comparsa sulla scena pubblica e non in relazione alle persone con disabilità, ma in collegamento con le lotte delle donne

Nel mondo della disabilità questo principio si accompagna sempre alla dizione “vita indipendente”.

Quindi parliamo di una programmazione educativa e didattica che sviluppi quelle capacità che danno attuazione al principio di autodeterminazione e alla conduzione di una vita indipendente (e autonoma).

«Vita Indipendente ha a che fare con l’autodeterminazione. È il diritto e l’opportunità di perseguire una linea di azione ed è la libertà di sbagliare e di imparare dai propri errori, esattamente come le persone che non hanno disabilità. Vita Indipendente riguarda soprattutto le persone con disabilità e tuttavia chi la persegue sa che attorno a ogni persona con disabilità che sia libera, si aprono spazi di libertà per madri, padri, fratelli, sorelle, figli, figlie, mogli, mariti, compagne, compagni, amiche, amici con esse in relazione».
(Dal Manifesto per la Vita Indipendente, ENIL Italia).

Adattando un testo inglese (M.L.Wehmeyer, A Functional Model of Self-Determinatio; Describing Development and Implementing Instruction, Focus on Autism and Other Developmental Disabilities, 1999) cito le seguenti aree in cui si concretizza l’autodeterminazione. Queste aree, ripeto, devono diventare tanti capitoli della programmazione del PEI.

–         Autonomia comportamentale e comportamento autoregolato

–         Autorealizzazione

–         Empowerment psicologico e speranza appresa

Autonomia comportamentale significa essere capaci di stare in modo appropriato in un contesto. Il comportamento autoregolato comprende l’uso di strategie di auto-gestione (auto-monitoraggio, auto-istruzione, auto-valutazione e auto-rinforzo), la definizione di obiettivi realistici da raggiungere, l’orientamento al risultato, la capacità di soluzione dei problemi, di compiere delle scelte e prendere decisioni. autorealizzazione significa avere delle idee su se stessi e sviluppare i percorsi necessari a realizzarle.

Più complessa è la riflessione sull’empowerment psicologico: significa potenziare la capacità delle persone di credere in se stesse, di poter essere artefici del proprio destino (almeno in parte). La speranza appresa è il contrario dell’impotenza appresa, che caratterizza tanta attività di supporto alle persone con disabilità. L’essere costantemente vicariati e sostituiti, mentre altri fanno delle cose al posto loro anziché impegnarsi a insegnargli a fare da soli (con i necessari supporti), porta le persone con disabilità, di qualsiasi età, a “rannicchiarsi” in se stessi, a lasciar fare agli altri, ad evitare la fatica di cercare di fare da soli, per quanto possibile. Quindi il supporto vicariante finisce per le persone con disabilità per essere un elemento di involuzione o di non evoluzione.

Attenzione: per quanto impopolare possa essere quello che sto per dire, anche l’eccessivo supporto a scuola tende a rendere i ragazzi dipendenti dall’adulto. Con ciò condannandoli, nella vita dopo la scuola, ad un assistenzialismo perenne.

Il problema è che vi sono insegnanti ed educatori che non sanno come sviluppare le capacità degli alunni nei vari campi, compresa la fiducia in se stessi e la voglia di mettersi in gioco. E quindi li sostituiscono sentendosi con ciò anche molto buoni e in pace con la propria coscienza.

Non si diventa autonomi a venti anni o a trenta. Si comincia a 3 anni, per quanto, in quanto e come possibile.

Un ambiente di apprendimento adeguato deve prevedere le possibilità, i supporti, le occasioni, per imparare a fare da sé.

PEI, un vademecum per aiutarci a capire

Pubblichiamo alcune indicazioni relative ai PEI, il Piano Educativo Individualizzato, grazie ai preziosi consigli di Graziella Roda. Facciamo quindi un po’ di chiarezza su quanto indicato nel Decreto Ministeriale n.182/2020, e nello specifico:

  1. a)     le ragioni per cui non sono state seguite le indicazioni fornite dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI);
  2. b)     il PEI e alla programmazione per obiettivi.

Il parere del CSPI e le motivazioni per cui non è stato accolto

Innanzi tutto: cos’è il CSPI e in cosa consiste il parere che aveva espresso questo organo? Il CSPI è un “organo di garanzia” costituito presso il Ministero dell’Istruzione. A questo link https://www.miur.gov.it/cspi si possono trovare le indicazioni su cosa è, come viene costituito e quali competenze ha.

Il CSPI sul modello nazionale di PEI ha espresso un parere che viene definito “obbligatorio ma non vincolante”. Significa che il Ministero ha il dovere di chiedere ed attendere il parere del CSPI e di considerarlo, ma non è obbligato a seguirlo.

Il parere del CSPI sui modelli di PEI sottoposti alla sua attenzione si può leggere al link seguente.

https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/CSPI_Parere_suAdozModPEI_7set_20.pdf/2e24946d-bac7-7c69-79d3-8791b67884f0?t=1599636658338

Il CSPI ha suggerito al Ministero di procedere prima, in accordo con le Regioni, all’avvio del nuovo percorso di certificazione previsto dal Decreto Legislativo n.66/2017 corretto dal Decreto Legislativo n.96/2019.

In particolare si sottolineava che il futuro Profilo di Funzionamento, redatto dall’Unità di Valutazione Multidisciplinare, avendo come orizzonte il modello ICF (classificazione internazionale del funzionamento redatta dal OMS), avrebbe dovuto costituire la base su cui i GLO avrebbero poi redatto il PEI.

Il Ministero nelle premesse del decreto dedica diverse voci a spiegare perché ha deciso di non attendere questo passaggio fondamentale, dando avvio al PEI nel corso del presente anno scolastico.

Va sottolineato che, dal momento in cui le nuove certificazioni+profili di funzionamento diventeranno operativi, trascorreranno diversi anni prima che tutti gli allievi con disabilità ne siano provvisti, perché i nuovi profili si applicano alle nuove certificazioni (e forse ai rinnovi dei profili di funzionamento al cambio dell’ordine e grado di scuola, ma non è ancora sicuro perché, come dicevo, manca la normativa).

Quindi avremmo comunque avuto un tempo in cui i nuovi modelli di PEI avrebbero avuto alla base una parte di profili di funzionamento e una parte ancora le vecchie diagnosi funzionali e profili dinamico-funzionali.

PEI e programmazione per obiettivi

L’art. 2 del decreto fornisce una “summa” di cosa sia un PEI secondo la nuova normativa e cosa esso contenga.

Il PEI è lo “strumento di progettazione educativa e didattica e ha durata annuale con riferimento agli obiettivi educativi e didattici, a strumenti e strategie da adottare al fine di realizzare un ambiente di apprendimento che promuova lo sviluppo delle facoltà degli alunni con disabilità e il soddisfacimento dei bisogni educativi individuati”.

In questo incipit si parla di “obiettivi educativi e didattici”. Quindi il nuovo PEI assume a livello nazionale il modello di programmazione definito “per obiettivi” specificando “educativi e didattici”.

Cosa implica questa espressione?

La programmazione per obiettivi è soltanto uno dei possibili modelli di programmazione che sono stati sviluppati nella storia della scuola a livello internazionale. Dopo un periodo di “furore” negli anni Ottanta (a volte esagerato e insensato), come per tante altre cose, il rigore richiesto dalla programmazione per obiettivi è stato depotenziato e privato del suo originario significato.

Oggi si leggono programmazioni (sia per le materie curricolari sia nel sostegno) che usano il termine “obiettivo” per indicare espressioni che non lo sono.

In poche parole, un obiettivo è tale se indica chiaramente quale comportamento o quale performance l’alunno deve eseguire per dimostarne il raggiungimento. Cosa deve fare, come lo deve fare, in quali condizioni, con quali tempi.

“Migliorare la socializzazione” non è un obiettivo. É un impegno, è una speranza, ma non è un obiettivo in senso strettamente tecnico.

“Salutare i compagni all’ingresso a scuola dicendo Ciao+il nome”, questo è un obiettivo. Cui si deve aggiungere in quanto tempo deve essere raggiunto.

Per i ragazzi con disabilità, soprattutto grave, una programmazione per obiettivi parrebbe essere, al momento, una delle più “produttive” rispetto alla possibilità di verificarne l’effettiva realizzazione e di controllare periodicamente l’andamento.

Certamente valgono ancora le vecchie obiezioni all’eccessivo “meccanicismo” degli obiettivi, ma questo vale se gli insegnanti che li usano non sono sufficientemente formati e se ne fanno “dominare”.

La distinzione tra “obiettivi educativi” e “obiettivi didattici” dovrebbe riferirsi alla scansione degli obiettivi tra quelli raggiungibili in un periodo lungo (annuale), i quali che devono essere scomposti in piccoli step successivi di avanzamento, che io preferisco chiamare “obiettivi operativi” anziché didattici, perché le due espressioni “educativo e didattico” possono generare equivoci (educativo come riferito alla generalità della persona e didattico alla disciplina, ma nella disabilità questa separazione non ha senso).

Resta il problema, non da poco, che molti insegnanti NON sanno programmare per obiettivi.

Torniamo quindi al vecchio vezzo di obbligare per norma a fare delle cose che le persone non sanno fare, senza creare invece il percorso che potrebbe insegnare a tutti a farle, iniziando dalle Università che forniscono la formazione iniziale agli insegnanti.

Tuttavia occorre sottolineare ancora una questione.

La “programmazione per obiettivi”, nell’art. 2 del decreto, è quasi “buttata là”, inserita con nonchalance in frase complessa. Ma le parole in una legge non possono mai essere “buttate là”. E quindi bisogna rifletterci sopra.

Ricordiamo che la libertà di insegnamento nella nostra Costituzione è un diritto individuale degli insegnanti, che non possono “delegarlo” ad altri organi, né individuali né collettivi (vedasi ad esempio la Sentenza della Corte Costituzionale n. 77/1964 e la Sentenza n.240/1972).

Anche le norme sull’autonomia delle Istituzioni Scolastiche fanno riferimento alla libertà di insegnamento, e non potrebbe essere diversamente.

Tuttavia bisogna richiamare con forza il fatto che il diritto individuale dell’insegnante alla libertà di insegnamento è modulato, arginato e condizionato dai suoi doveri e dai diritti di altri, in primo luogo quello di assicurare il successo formativo dei propri alunni. Tanto per dirla in soldoni, un insegnante il cui alunno non apprende e non fa progressi, non può continuare ad insegnare usando lo stesso metodo e appellandosi alla libertà di insegnamento. La libertà è quella di scegliere il percorso di insegnamento più efficace per ciascuno dei propri alunni, ed è dimostrato dal fatto che essi imparano e migliorano.

Quindi la domanda è: può lo Stato imporre la programmazione per obiettivi? Credo sia difficile. Può lo Stato sostenere una programmazione per obiettivi qualora essa costituisca il modello di riferimento più utile in determinate occasioni? Se lo è (più utile) credo di sì. Ma io non sono un giurista e mi limito a porre questi quesiti per invitare a non scorrere le norme leggendole come se fossero pagine di un romanzo o un articolo di giornale. Le parole della Legge sono parole pesanti e se vogliamo essere cittadini e non sudditi dobbiamo imparare a valutarle come tali.
Ambiente di apprendimento
Come ho riportato nella mail precedente, l’art. 2 del decreto fornisce una “summa” di cosa sia un PEI secondo la nuova normativa e cosa esso contenga.
Il PEI è lo “*strumento di progettazione educativa e didattica e ha durata annuale con riferimento agli obiettivi educativi e didattici, a strumenti e strategie da adottare al fine di realizzare un ambiente di apprendimento che promuova lo sviluppo delle facoltà degli alunni con disabilità e il
soddisfacimento dei bisogni educativi individuati”*.
Per avere in modo esteso degli esempi di osservazione strutturata e di deduzione da essa di obiettivi operativi potete consultare i Quaderni Autismo pubblicati sul sito dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna al link:
https://www.istruzioneer.gov.it/media/studi-e-documenti/archivio-studi-e-documenti/
Qui trovate l’indice della collana Studi e Documenti, nel cui ambito sono collocati i Quaderni Autismo. Per ora ne sono stati pubblicati 4 ma dovranno diventare 6, si spera a breve.

L’espressione “ambiente di apprendimento” non appartiene al “linguaggio veicolare”, cioè alla lingua che normalmente usiamo per comunicare; è invece linguaggio tecnico, pedagogico e scolastico. Non indica quindi un qualsiasi generico luogo in cui si apprende.
Un “ambiente di apprendimento” è sicuramente un luogo fisico oppure virtuale (oggi con la didattica a distanza questo contesto acquisisce particolare rilevanza.
Il luogo, fisico o virtuale, per poter essere considerato un ambiente di apprendimento deve in primo luogo essere organizzato/strutturato in modo specifico rispetto alle attività di insegnamento/apprendimento che lì vi si svolgono. Deve contenere gli strumenti atti ad insegnare in modo che gli alunni apprendano nel modo più adatto alle proprie caratteristiche, con i
supporti più idonei, ecc.
Scrive Silvana Loiero “*Possiamo pertanto provare a definire l’ambiente di apprendimento come un contesto di attività strutturate, “intenzionalmente” predisposto dall’insegnante, in cui si organizza l’insegnamento affinché il processo di apprendimento che si intende promuovere avvenga secondo le modalità attese: ambiente, perciò, come “spazio d’azione” creato per stimolare e sostenere la costruzione di conoscenze, abilità, motivazioni, atteggiamenti. In tale “spazio d’azione” si verificano interazioni e scambi tra allievi, oggetti del sapere e insegnanti, sulla base di scopi e interessi comuni, e gli allievi hanno modo di fare esperienze significative sul piano cognitivo, affettivo/emotivo, interpersonale/sociale*” [http://www.funzioniobiettivo.it/glossadid/ambiente_apprendimento.htm].

Se ampliamo l’espressione, “ambiente di apprendimento inclusivo” si arriva all’indicazione di un luogo (ripeto: fisico o virtuale) in cui ciascun alunno può trovare le migliori condizioni per apprendere insieme ai compagni.
Non posso dilungarmi di più, ma una cosa deve essere chiara: una classe tradizionale, con banchi, qualche scaffale, lavagna (anche interattiva), in cui tutti ascoltano l’insegnante che spiega o che interroga mentre l’alunno certificato sta nel suo angolo con accanto l’insegnante di sostegno che gli fa fare le cose sue, ecco: questo NON è un ambiente di apprendimento, tantomeno inclusivo. Esattamente come non lo sono le tante “aulette di sostegno” con qualche sedia scompagnata, armadi sbilenchi, giochi vecchi e consunti, pennarelli scompagnati, e magari un vecchio computer buttato lì, in cui si va a fare qualche lavoretto, a sfogliare qualche carta PECS, ecc.
Per chiunque conosca una sezione o una classe montessoriana: ecco questo è un esempio di ambiente di apprendimento creato cento anni prima che questa espressione venisse coniata.

Una specificazione per l’autismo: un ambiente di apprendimento inclusivo per gli alunni con autismo dovrebbe essere ovviamente strutturato e organizzato comprendendo anche le loro specifiche condizioni. Se si tratta, ad esempio, di alunni facilmente disturbati dal rumore, dovrebbe avere delle insonorizzazioni; se ci sono problemi con le luci al neon, l’illuminazione dovrebbe essere cambiata; se occorrono le famose “strisce” illustrate per supportare l’azione in autonomia dell’alunno, queste dovrebbero esserci. E così via. Dovrebbe esserci uno scaffale o un armadio
a lui accessibile e strutturato in modo che lui possa orientarcisi, per svolgere in autonomia qualche compito, ad esempio attraverso una organizzazione di “shoebox task” (diversi esempi in questa pagina Pinterest
https://www.pinterest.it/jules24ih/shoebox-tasks/ o qui
https://www.pinterest.ca/shudyma/shoebox-tasks/ )
Gli spazi strutturati TEACCH erano sicuramente ambienti di apprendimento, ma non inclusivi, in quanto dedicati soltanto agli alunni con autismo nelle scuole speciali.

*Cosa contiene il PEI?*

Lasciando da parte la questione “ambiente di apprendimento inclusivo” chiudiamo l’art. 2 del decreto con le indicazioni su cosa nel PEI deve comparire:
Il PEI, dunque:
a)     garantisce il rispetto e l’adempimento delle norme relative al diritto allo studio degli alunni con disabilità
b)     esplicita le modalità di sostegno didattico, compresa:

  • la proposta del numero di ore di sostegno alla classe,
  • le modalità di verifica,
  • i criteri di valutazione,
  • gli interventi di inclusione svolti dal personale docente nell’ambito della classe e in progetti specifici,
  • la valutazione in relazione alla programmazione individualizzata
  • gli interventi di assistenza igienica e di base, svolti dal personale ausiliario nell’ambito del plesso scolastico
  • la proposta delle risorse professionali da destinare all’assistenza, all’autonomia e alla comunicazione, secondo le modalità attuative e gli standard qualitativi previsti dall’Accordo di cui all’articolo 3, comma 5-bis, del DLgs 66/2017

Ciascuna di queste voci (insieme ad altre) costituisce una parte della trattazione sia del decreto sia delle Linee Guida.

Inclusione scolastica, novità sul sito del MIUR e tutte da leggere

Sul sito del ministero è stato pubblicato il documento:
E’ inoltre disponibile, all’indirizzo www.istruzione.it/inclusione-e-nuovo-pei/, una pagina dedicata all’argomento con le FAQ per il personale della scuola e le famiglie. Il Ministero lavora anche alla predisposizione di uno strumento informatico di compilazione del PEI in grado di interagire con le banche dati esistenti, parte del progetto di digitalizzazione che sta modernizzando radicalmente il Ministero per migliorare il lavoro delle scuole e le relazioni con le famiglie.
Sul medesimo tema è uscito il seguente volume:

La nuova versione del grande classico Erickson sul Piano educativo individualizzato, proposta e commentata sulla base dei modelli del Decreto interministeriale 29 dicembre 2020, n. 182 e delle Linee guida.

La guida più aggiornata su questo tema, contiene indicazioni pratiche, strumenti ed esempi di obiettivi e attività (suddivisi per i quattro ordini scolastici) per la stesura del PEI in prospettiva bio-psico-sociale ed ecologica.

Oltre 500 pagine con i contributi e le riflessioni di 23 autori:
Dario Ianes, Heidrun Demo, Sofia Cramerotti, Stefan von Prondzinski, Silvia Dell’Anna, Lucio Cottini, Carlo Lepri, Marco Pontis, Luigi D’Alonzo, Silvio Bagnariol, Maria Clarice Bracci, Anna Marchi, Marzia Mazzer, Carlo Scataglini, Andrea Rossini, Ivan Sciapeconi, Eva Pigliapoco, Flavio Fogarolo, Stefania Cornacchia, Alessia Pipitone, Giuseppe Fusacchia e Giovanni Simoneschi, Giancarlo Onger.