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Dimensioni del “funzionamento” dell’alunno

Con questo articolo, grazie allo sforzo di Graziella Roda, approfondiamo il significato delle 4 dimensioni che informano tutto il PEI, a partire dalle informazioni che sono da trarre dal Profilo di funzionamento e che costituiscono poi la base di tutto il lavoro seguente.

Nel PEI, vanno riportate le indicazioni fondamentali sulle quali poi si baserà l’osservazione in situazione dell’alunno, i suoi punti di debolezza e i punti di forza, le barriere e i facilitatori, quindi si trarranno gli obiettivi educativi, intermedi e operativi, si definiranno i contenuti, i metodi, i sussidi, le tecnologie vecchie nuove, le modalità di verifica, ecc.

Le 4 dimensioni non vengono però definite né nel decreto né nelle Linee Guida. O le si dà per scontate o si rimanda alla formazione dei docenti il compito di dettagliarle. E’ bene invece soffermarsi un attimo sul significato di queste parole, soprattutto per i genitori, che dovranno comprenderle bene dal momento che è su di esse che il loro figlio sarà descritto ed educato.

Va detto prima di tutto che queste dimensioni sono di ogni essere umano e riguardano tutto l’arco della vita. L’accentuazione che ne viene data nel PEI è legata alle difficoltà che molti alunni certificati incontrano in queste aree, proprio in relazione alla loro disabilità, e alla fondamentale importanza che assume il loro potenziamento per assicurare la qualità della vita di tali ragazzi.

Socializzazione

Per riassumere cosa si intende con il termine “socializzazione”, per tutti gli essere umani, disabili e non, un utile riferimento può essere la voce riportata nell’Enciclopedia Treccani delle Scienze Sociali, che può essere consultata on-line al seguente link: https://www.treccani.it/enciclopedia/socializzazione_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

“La socializzazione riflette il contesto sociale dello sviluppo dell’individuo e il rapporto dinamico tra individuo e società. In termini generali, essa può essere definita come trasformazione dell’essere biologico in un essere sociale caratterizzato da uno specifico modello culturale di percezione della realtà. La socializzazione comporta l’integrazione o l’adattamento degli individui in varie strutture e relazioni sociali, rappresentate dalla classe, dalla famiglia, dai reticoli, dalla scuola e dall’ambiente di lavoro”.

Quindi qui compare un primo “paletto”. Il termine socializzazione è presente nella prima fase del PEI perché qui va specificato qual è la situazione dell’alunno certificato in questo processo, ma quando si passa alla programmazione, essa riguarda tutto il gruppo classe e l’intera scuola, nonché l’ambiente di vita dell’alunno fuori dalla scuola. È tutto il contesto sociale che opera per la “socializzazione” dei suoi membri. Non è il ragazzino certificato che deve “socializzare”. È il gruppo sociale (adulti compresi) che deve costruire il proprio contesto sociale comprendendovi in modo attivo e positivo ciascuno dei suoi membri.

Interazione (sociale)

Sempre nell’Enciclopedia Treccani sopra citata, possiamo trovare il sunto anche dei vari significati attribuiti all’espressione “interazione sociale”, al link: https://www.treccani.it/enciclopedia/interazione-sociale_%28Enciclopedia-delle-scienze-sociali%29/

“Il concetto di interazione sociale abbraccia un vasto campo di fenomeni empirici, e si riferisce sia ad azioni quotidiane di routine (lo scambio di un saluto) che a eventi eccezionali (il divorzio tra due coniugi), sia ad azioni moralmente condannabili (la menzogna o l’omicidio) che ad azioni moralmente encomiabili (donare il sangue). Nel concetto di azione sociale non rientrano solo quei fenomeni empirici in cui si manifesta la componente ‘attivistica’ del fare rivolto verso gli altri.

Si ha un’interazione anche quando si omettono azioni attese (ad esempio il mancato aiuto da parte di una nazione a minoranze etniche perseguitate), quando si tollerano o si subiscono azioni di altri individui … I fenomeni dell’agire sociale inoltre non si limitano a processi di lunga durata, ma comprendono anche contatti fuggevoli (ad esempio lo scambio di un’occhiata). Si può inoltre parlare di interazione sia quando singoli individui agiscono orientandosi gli uni verso gli altri, sia quando più individui agiscono come gruppo, classe o équipe di lavoro”

Qui si capisce che, laddove venga richiesto di fare il punto sulle capacità di interazione sociale di un alunno con disabilità, sono molti i punti che devono essere presi in considerazione, e altrettanti saranno quelli che dovranno essere oggetto di programmazione educativa.

Ma, ancora una volta, occorre avere ben presente che le interazioni, proprio in quanto sociali, avvengono tra più persone. Se focalizzare lo sguardo sull’alunno disabile può essere necessario per comprendere le sue specifiche difficoltà (così come le sue capacità), può altrettanto essere pericoloso, perché si guarda un solo polo, mentre ce ne sono molti.

Relazione (sociale)

Interazione e relazione non sono sinonimi esatti l’una dell’altra, anche se nel linguaggio corrente vengono spesso assimilate.

Una interazione sociale può anche essere effimera (ad esempio come in una certa cultura si saluta quando si entra in un negozio e come ci si può aspettare che avvenga la risposta). Una relazione è qualcosa di più stabile, che si ripete nel tempo, che diventa consuetudine, che assume significato. Ci possono essere relazioni strette o relazioni più superficiali. Ma la competenza a gestirle e a mantenerle (o a lasciarle perdere se e quando negative) sono fondamentali per avere una vita nel mondo.

Quando si parla di relazioni, interazioni sociali e di socializzazione per un alunno con autismo non si parla soltanto o tanto delle difficoltà che il suo disturbo gli causa, ma anche e contemporaneamente del contesto che lo circonda (cioè gli altri poli della relazione); se esso sia o no competente in questa relazione, se è motivato alla relazione o se la rifugge, ad esempio.

Non si abilita un bambino autistico ad un contesto sociale se il contesto sociale non viene a sua volta abilitato. Quindi nel PEI dovrà essere scritto qual è il punto in cui l’alunno si trova, cosa si intende fare – adesso e qui – per migliorare, ma nella programmazione generale della classe e della scuola deve essere scritto cosa si fa per rendere competente la relazione di questi contesti sociali con tutti i loro componenti (non soltanto con l’alunno con autismo). Nel PEI quindi andranno rilevati i punti in cui i due percorsi si intersecano.

Comunicazione e linguaggio

Per poter vivere, agli esseri umani occorre comunicare. L’idea che vi possano essere umani che non hanno bisogno di comunicare (come si sosteneva per l’autismo fino a poco tempo fa) significa non capire la relazione inscindibile che esiste tra gli esseri umani. Gli esseri umani comunicano sempre: anche la non comunicazione è, in effetti, una comunicazione. Gli esseri umani comunicano in molti modi, consapevoli e inconsapevoli, volontari e involontari. Perché i cani capiscono così tanto di noi? Perché ci annusano. Noi emettiamo odori in relazione ai nostri stati d’animo e alle nostre reazioni, odori che noi stessi oggi non percepiamo (se non in alcuni casi) mentre i cani le avvertono nettamente (è possibile che in tempi lontanissimi, quando il linguaggio verbale non era ancora così sviluppato, anche i nostri antenati fossero in grado di comprendere i messaggi odorosi).

Focalizzarsi sulla comunicazione e sui linguaggi (al plurale è meglio che al singolare perché il linguaggio non è soltanto quello parlato/scritto, ci sono altre forme) è fondamentale nell’educazione degli alunni con disabilità e in modo particolare di quelli con autismo. La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) è la branca della tecnologia, della pedagogia e della didattica che si occupa di questo settore.

Tra le molte fonti reperibili in Interne qualcosa prodotto dai CTS dell’Emilia-Romagna.

http://archivi.istruzioneer.it/emr/istruzioneer.it/wp-content/uploads/2017/11/CTS-ER_COMUNICAZIONE-AUMENTATIVA-E-ALTERNATIVA.compressed.pdf

Autonomia e orientamento (nello spazio e nel tempo)

Orientamento in questo contesto significa non decidere gli studi futuri o il lavoro, ma essere orientati nello spazio e nel tempo vissuti.

Sono le dimensioni in cui si inserisce l’esperienza umana: noi siamo in quanto siamo in un certo luogo in un certo tempo (anche se si praticano esperienze virtuali, si è sempre e comunque in uno spazio e in un tempo con il corpo fisico, mentre la mente può essere in un altro spazio/tempo. Questo è uno dei grandi pericoli del mondo virtuale: la “schizofrenia” dell’esperienza).

Autonomia significa essere capaci di fare da soli (o con un certo livello di aiuto) le azioni quotidiane, agendo nello spazio e nel tempo giusti, e facendo ciò che è opportuno, necessario, corretto, ecc.

Essere autonomi nella vita quotidiana e sapersi orientare nello spazio e nel tempo della vita vissuta sono elementi fondamentali per avere una vita e per non dover essere sempre accompagnati, seguiti, vigilati, supportati, gestiti da altri.

Dimensione Cognitiva, Neuropsicologica e dell’apprendimento

Qui è più che mai importante il supporto della componente sanitaria, che dovrà effettuare tutti i test necessari a definire il quoziente di intelligenza, le modalità cognitive, il modo migliore attraverso cui il ragazzo con disabilità conosce il mondo e se stesso e infine impara.

Sapendo che non sono “verità incise sulla pietra” ma indicazioni di possibilità, potenzialità e limiti. La storia dell’educazione ha dimostrato che i limiti possono essere spostati di molto in avanti, che le possibilità aumentano man mano che si impara e che le potenzialità sono molto più vaste di quello che ci si aspettava e addirittura più di quello che si sperava. Senza creare illusioni o falsi miti.

Imparare a capire, imparare a imparare è un lavoro lento, faticoso, minuzioso, fatto di continui errori, di cadute e di piccoli, piccoli, passi pazienti e testardi.